In questi ultimi tempi abbiamo avuto diverse visite al Carmel, tra cui quelle di alcuni
giornalisti italiani giunti a Bangui per l’inaugurazione dell’“Ospedale del Papa”, avvenuta il 2 marzo. Ecco alcuni estratti degli articoli pubblicati.
di Paolo Lambruschi, inviato a Bangui. Da “Avvenire” del 31 marzo 2019
Sotto una fitta foresta di palme, a Bimbo, alle porte di Bangui, dal monastero di Nostra Signora del Monte Carmelo è arrivato aiuto alla popolazione in fuga dalla capitale centrafricana nel momento più buio delle violenze […]. Ma padre Federico Trinchero, carmelitano alessandrino 41enne, missionario in Centrafrica dal 2009, anche sulle colonne del nostro giornale ha sempre respinto la tesi del conflitto confessionale […].
Padre Federico ricorda i parti sulle panche della chiesa, il refettorio trasformato in ospedale grazie a medici sfollati e Ong, le lezioni scolastiche ai bambini. Poi parla della fabbrica di mattoni nel palmeto davanti al monastero di cui “Avvenire” ha seguito l’avvio. Oggi i «mattoni di pace» sono una realtà, realizzati da una decina di operai con un impasto di sabbia del fiume e argilla locale, a crudo, da montare a incastro. Sono un brevetto sudafricano. «Costano un po’ di più ma sono prodotti ecologici. Riparano dall’acqua nella stagione delle piogge e abbiamo sperimentato che mantiene gli ambienti più freschi».
La proposta del monastero è costruire la pace dal basso, con il lavoro e la scuola, attraverso progetti sostenuti dalla Cei, dalla Fao e dall’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo per aiutare la popolazione a risollevarsi. […]
Il Carmelo di Bangui è un’oasi di pace alle porte della capitale della Repubblica Centrafricana. La comunità di fratelli che vive lì è molto vicina alla popolazione. Cerca di sviluppare una struttura che le permetta di vivere in modo indipendente e di aiutare la società.
Tradotto da “Vatican News” del 28 marzo 2019. Di Xavier Sartre
Lungi dall’essere dedicati solo alla loro dimensione spirituale, i frati sono coinvolti anche in un progetto molto concreto. Il convento dispone di un mattonificio finanziato da un’associazione francese, “Un P.A.S” dei fratelli Jaccard e dalla Conferenza Episcopale Italiana: i mattoni autobloccanti sono utilizzati per costruzioni sul posto, ma sono anche venduti. Il primo cliente è stato Papa Francesco, che li ha comprati per il progetto dell’ospedale pediatrico a Bangui.
Il convento Monte Carmelo a Bangui ha anche una fattoria con quattro tori, trentasette giovenche, quaranta vitelli e un pollaio. Visionari, i primi frati piantarono palme per produrre olio. […] I dipendenti sono cristiani e musulmani. Yaya è un pastore Fulani. Musulmano, stava già lavorando al convento. Fuggì in Ciad con la sua famiglia per evitare di essere ucciso dalle milizie anti-balaka, ma dalla fine dei combattimenti, è tornato. “Lo abbiamo accolto”, ricorda padre Arland, il nostro convento accoglie tutti!
Il convento, al confine con Bangui, era quasi in mezzo al nulla. Poi la fama dei frati e delle loro opere ha attratto sempre più persone e il palmeto è ora inserito nell’agglomerato della capitale. Ma i frati non si fermano, attualmente stanno costruendo, con i loro mattoni, una scuola di agricoltura. Il lavoro strutturale è completato e presto la costruzione accoglierà i suoi primi studenti. Il convento di Monte Carmelo di Bangui pone così la base di un’opera al servizio di tutta la popolazione della Repubblica Centrafricana, un lavoro sociale, ma anche, e soprattutto, un’opera di pace.
Come ricominciare dopo la guerra? La strada della formazione e del lavoro è un antidoto
più efficace di tutti gli accordi di pace che si potranno mai firmare
Da DiRE Agenzia di stampa nazionale del 6 marzo 2019. Di Vincenzo Giardina
“All’università studiavamo gli uni accanto agli altri” dice Khididiatou Yunusa, 24 anni, in piedi accanto a caschi di datteri rossi. È musulmana e vive al Pk5, il quartiere islamico che l’ultima fiammata del conflitto civile a Bangui ha trasformato in un ghetto. Che Khididiatou oggi si trovi qui, nella missione cattolica di Notre Dame du Mont Carmel, non è un caso. Cinque anni fa, con l’avanzata dei ribelli della Seleka, la caduta del presidente François Bozize e poi il contrattacco degli Anti-Balaka, le cosiddette milizie cristiane, aveva cercato riparo proprio dai frati carmelitani.
“Studiavo da infermiera e sono stata costretta a lasciare” riprende, lo sguardo basso, quasi volesse cancellare anche i ricordi. Poi aggiunge, riprendendo coraggio: “I rapporti con i cristiani erano sempre stati buoni, la guerra è stata solo la conseguenza di una lotta di potere”. La conferma la trovi poco distante, fuori dall’oleificio dove sono accatastati i caschi di datteri, nel palmeto nato con l’arrivo dei carmelitani. L’emergenza, in questa missione al confine con il Congo, dove il fiume M’Poko si getta nell’Oubangui, è rientrata. Nel 2017, dopo la fine dei raid delle milizie, la maggior parte delle famiglie ha lasciato il Carmel. Oggi, però, in molti ritornano […]. “Speriamo di recuperare tanti giovani che hanno dovuto abbandonare gli studi, sono stati profughi al Carmel e sembrano ancora senza prospettive” dice padre Trinchero: “La strada della formazione e del lavoro, che consenta di comprarsi una casa e di prendersi cura di una famiglia, è un antidoto contro la guerra più efficace di tutti gli accordi di pace che si potranno mai firmare”.
La qualità della vita è peggiore solo a Baghdad. Sfibrata dalla guerriglia e dalla corruzione, la capitale è oggi nelle mire di Cina e Russia
Da “Il Sole 24 Ore” del 7 aprile 2019. Di Filippo D’Angelo.
Contrariamente al luogo comune europeo secondo cui gli Africani sarebbero un’orda bramosa di attraversare il Mediterraneo i Banguissois […] sembrano molto implicati nelle difficili sorti del loro Paese. Skeny è uno studente di Medicina. Vorrebbe diplomarsi in ginecologia ostetrica. Al momento la Repubblica centrafricana ha uno dei tassi di mortalità neonatale più elevati al mondo e dispone di soli sette ginecologi ostetrici. L’ambizione di Skeny è aprire un reparto di questa specialità in un ospedale di provincia.[…]. Mireille ha ventitré anni ed è iscritta in un’università privata al primo anno di master in Gestione aziendale. Viene da uno dei quartieri più poveri di Bangui, e usufruisce di una borsa di studio finanziata dai padri missionari del Mont Carmel. La scelta di proseguire gli studi sino a un livello avanzato è stata osteggiata dal suo ambiente, in particolare dalle donne di famiglia, improvvisatesi guardiane dello stesso ordine sociale di cui sono state vittime. […] Una volta diplomata vorrebbe creare una propria attività d’imprenditrice nel settore tessile.