LA RACCOLTA FONDI PER PADRE NORBERTO QUI

Padre Norberto ha messo piede per la prima volta in terra centrafricana nel 1980, aveva 28 anni e viveva a Lecco con la famiglia, papà, mamma e cinque fratelli. Lavorava come geometra. Sentiva però forte il desiderio di fare qualcosa per gli altri, anche come volontario laico, rendendosi utile in un Paese del terzo mondo. È stato proprio uno dei fratelli a dirgli che i Frati Carmelitani cercavano un muratore per le missioni in Centrafrica e così, senza pensarci troppo, ha lasciato tutto e non è tornato a casa per tre anni. Da quell’esperienza la sua vita è cambiata radicalmente. Dopo otto anni di volontariato, ha capito di voler dedicare ancora di più alla Missione e, rientrato in Italia, si è consacrato a Gesù. I Carmelitani Scalzi, di cui era stato finora ospite, sono diventati la sua famiglia. Dopo gli studi di teologia, è stato ordinato sacerdote nel 1995. Da allora ha dedicato tutto se stesso alle Missioni in Centrafrica. Si è sempre occupato della cura delle anime annunciando la parola di Dio nei villaggi vicini e lontani, senza perdere la sua operosità nei lavori pratici di falegnameria, meccanica e muratura. Ha organizzato quasi venti scuole nella savana, raccogliendo le iscrizioni, cercando i maestri, mettendo a posto le aule… Si è sempre messo a servizio dei poveri e dei malati, conducendo con il suo fuoristrada vere e proprie carovane di malati all’ospedale.

La “brousse”, cioè la savana, è il suo habitat naturale. La attraversa su piste impraticabili con il suo fuoristrada, vecchio ma robusto, per raggiungere una quarantina di villaggi dispersi in un raggio di centinaia di chilometri. Ogni settimana sale in auto e parte per portare il Vangelo, con la predicazione, ma soprattutto l’esempio di vita. Qui dialoga con gli abitanti e si mette a disposizione per confessioni e incontri. La domenica celebra la Messa tra canti e balli locali. La sua barba lo rende riconoscibile in tutto il paese. L’ha tagliata solo tre volte nella sua vita. Ormai fa parte di lui e fa divertire anche i bambini centrafricani che lo aspettano nei villaggi. Se il segreto della proverbiale forza di Sansone stava nei capelli, mai tagliati per un voto, la forza di p. Norberto non arriva di certo dalla barba, ma da una solida vita spirituale. Lo sosteniamo con la preghiera, necessario aiuto per ogni missionario nelle terre lontane. Tra il 2005 e il 2007, è caduto tre volte negli agguati dei banditi sulle piste della savana. Il primo “incontro” con i banditi “Zaraguinas” (rapinatori di strada) è avvenuto a marzo del 2005 per portare le paghe ai maestri che insegnano sulla strada Bozoum-Bouar. Arrivato a Bohina, qualcuno lo ha avvisato della presenza dei “Zaraguinas”. Ha subito fatto dietro-front, ma è comunque stato raggiunto da uomini spuntati dalla boscaglia. Quando ha provato a fuggire accelerando, un forte boato lo ha convinto a fermarsi. Sceso dalla macchina con il suo abito, è stato rapinato delle buste degli stipendi dei maestri. L’hanno fatto inginocchiare e hanno rovistato in tutta la macchina (persino dentro al cofano!), rubando anche lo scapolare del suo saio, piegato nella borsa della Messa. Uno scapolare può sembrare un oggetto di poco valore, ma è di grande significato per un carmelitano che lo indossa tutta la vita come segno di consacrazione alla Madonna. Mentre lo provocavano colpendolo sulla testa con un frustino in caucciù, si è protetto con le mani, ma soprattutto pregando. L’hanno lasciato andare, ma lungo la strada la gente fissava la sua auto, senza che p. Norberto capisse quale fosse il motivo. Arrivato a destinazione, finalmente ha capito il perché vedendo un buco nella carrozzeria: una pallottola era passata tra la sua testa e il poggia-testa del sedile, scatenando il boato che lo aveva convinto a fermarsi. A volte la protezione della Madonna è questione di centimetri. Il secondo incontro con i banditi, è stato a inizio del 2007, nei pressi di Bokpayan, sulla pista che da Bozoum sale a Bocaranga. Con lui c’era anche Giorgio Grandicelli, infermiere e volontario di Genova. A pochi chilometri dal villaggio, in una radura pianeggiante, si è accorto che a 30 metri di distanza, di fronte a sé, c’era un bandito, poi due… con in mano fucili. Hanno sparato diversi colpi per terra intimando di seguirli a piedi. Vedendo un uomo incatenato, si è accorto di non essere il primo a essere catturato quel giorno. Dopo una lunga consultazione tra loro, i banditi l’hanno lasciato andare. Tornato alla sua macchina, ha visto che da un serbatoio usciva del gasolio. Ha capito che la pallottola, rimbalzando sul suolo, ha colpito l’auto. Alla partenza, le marce erano bloccate e ha dovuto raggiungere il villaggio sempre in prima. A Bokpayan la gente l’ha accolto festosa, ignorando l’accaduto. Dopo la celebrazione della Messa, ha fatto ritorno a Bozoum percorrendo 60 km, senza poter cambiare le marce. C’è voluto del tempo… A casa, si è reso conto di quello che era successo: un’altra pallottola si era bloccata nella scatola delle marce. Per arrivare lì, è passata tra le gambe di p. Norberto e Giorgio!

Il terzo agguato è avvenuto sulla strada di Bangui, poco prima della Pasqua nel 2007, insieme a p. Arland. Una decina di giovani banditi Mbororo, cioè Peul, provenienti da paesi del nord, gli hanno puntano il fucile addosso. Poi hanno parlato tra loro, finché un giovane, forse il capo, l’ha lasciato andare. Prima di risalire sul suo fuoristrada, p. Norberto li ha ammoniti dicendo loro: “Pregherò Dio perché vi renda buoni!”. Quest’anno la sua gente l’ha soccorso il 10 febbraio, quando la sua macchina è saltata in aria, dopo essere passata sopra a una mina anti carro, nascosta sotto la strada di terra
battuta.

Per portarlo all’ospedale più vicino, l’hanno caricato su una moto, tenendolo abbracciato perché non cadesse. Ricorda ancora di aver attraversato, in una disperata corsa contro il tempo, i “suoi” villaggi, mentre tutta la popolazione si è riversata fuori dall’ospedale per non lasciare solo il loro “mon père Norbert”. Se da piccolo, nato settimino, è stata la mamma a proteggerlo avvolgendolo tra il cotone e adagiandolo sulla stufa a legna di casa, oggi la popolazione centrafricana l’ha protetto come una madre e lo aspetta per riabbracciarlo nella “sua” missione.

P. Davide Sollami