Dopo mesi di preparazione e organizzazione gestionale, con annesse raccolte di alimenti, vestiti e farmaci, i cinque protagonisti di questa storia sono partiti verso un luogo dalla descrizione incerta qual è la Repubblica Centrafricana. Due medici: la Dott.ssa Francesca Calcagno, medico urgentista e la Dott.ssa Elisa Buscaglia (medico cardiologo) e tre infermieri, Carlo, Marika e Ilaria. Nonostante i timori condivisi, hanno deciso di voler essere e fare di più della professione. Spinti dal coraggio di andare oltre alla routine lavorativa e all’ essenza dell’essere che spesso si annulla all’apparire, si sono immersi da subito nella realtà Centrafricana. Il sorriso, la chiave di tutto. L’incontro con l’altro, in una situazione in cui il materiale scarseggiava e lo strumentario era pressoché inesistente, è stato un valore aggiunto per ritornare all’origine del rapporto umano: il sapersi fidare.  Le difficoltà medico-assistenziali nella Repubblica Centrafricana hanno contribuito ad alimentare sentimenti di estrema impotenza.

In un bagaglio culturale in cui il paese d’ origine viene definito “all’avanguardia” risulta difficile credere di poter essere abbastanza, in un luogo dove si devono fare i conti con i pochi, anzi pochissimi strumenti a disposizione. La “moneta” che ripaga del lavoro svolto, spesso più di dodici ore, è l’abbraccio del piccolo paziente o le lacrime di riconoscenza di una mamma a cui è stata curata la ferita del figlio. L’incontro con l’altro, al di là della patologia, ha permesso senza dubbio di restituire valore alla semplicità del rapporto umano, all’unicità del paziente e alla bellezza della condivisione.  Il tempo, prezioso amico e nemico, così sconosciuto nella mole di lavoro ma al contempo così familiare nel contesto di cura. Nel dispensario di Bozoum, luogo dove hanno prestato servizio i sanitari, il tramonto sanciva il termine delle cure mediche, o così avrebbe dovuto essere, data l’assenza di luce artificiale. Ma nella relazione di cura non esistono limiti.

Dopo l’orario di cena, i professionisti armati di torce, hanno prestato l’assistenza medico-sanitaria necessaria, oltre a fornire adeguati sostentamenti alimentari. I sorrisi dei piccoli pazienti e gli occhi ricolmi di speranza delle madri e padri sono stati il motore che hanno permesso di non sentire la fatica.  Nonostante la tempesta emotiva, protagonista indiscussa di queste due settimane, nel cuore e nell’animo dei professionisti c’è stato un cambiamento radicale. Timore e paura hanno lasciato spazio a gioia, speranza e tanta gratitudine perché hanno avuto l’esperienza che nel dare si possa ricevere di più. Grazie al popolo di Bozoum per aver trasmesso l’arte del saper apprezzare, oramai in estinzione.

A presto. Barala!

Francesca, Elisa, Carlo, Marika e Ilaria

medici e infermieri dell’Ospedale S. Paolo a Savona