Missionario carmelitano prima in Giappone e poi nella Repubblica Centrafricana, Padre Ni- colò Ellena (1923 – 2019), ci ha lasciato i suoi scritti. Questa rubrica è un estratto dei suoi 50 diari, ricchi di entusiasmo, ma anche ironia, che iniziano con l’arrivo in Centrafrica nel 1971

a cura di Ivana Ellena

Potremmo forse riassumere brevemente così le impressioni e le reazioni di noi missionari in quei primi mesi: l’impatto con un livello di vita primitivo e una povertà generale – in Italia non immaginabile – ma nello stesso tempo con una buona disponibilità alla fede, una spontaneità e una semplicità incantevoli; le difficoltà di adattamento a un clima torrido, con forti sbalzi, ma in complesso sopportabile, almeno a Bozoum; la difficoltà di assimilazione, di abitudini di vita, di lavoro, di nutrimento, molto diverse dalle nostre; la consapevolezza di esserci imbarcati in una grossa impresa da cui non si tornava indietro, che esigeva il massimo di noi stessi, senza nostalgie o rimpianti.

Tutto però è stato superato grazie al clima di vera e serena fraternità tra i Padri Cappuccini e noi, alla carica di entusiasmo di ognuno e alla coscienza una bottiglia” personale e collettiva responsabilità.

L’esempio tangibile di questa fruttuosa collaborazione è stato quello di dotare la Missione di un impianto di luce elettrica.

La luce elettrica

23 dicembre 1971, Bozoum: Cerchiamo di dar luce alla Missione. Per la prima volta, oggi riesco finalmente con la “manovella” a mettere in moto il motore del gruppo [elettrogeno, ndr]. C’è voluta quasi tutta la mattinata. La prima lampadina si è accesa alla missione di Bozoum questa sera verso le 22. Abbiamo stappato una bottiglia. 24 dicembre 1971, Bozoum: Lavoriamo tutto il giorno per l’impianto elettrico. Alla fine della giornata c’erano otto lampadine accese in Chiesa, una in sacrestia e sei fuori della chiesa, attaccate agli alberi della piazza. Già dalle 16 c’era molta gente in piazza a vedere le luci e in attesa della messa di Natale che avremmo celebrato alle 20 di sera. Nessuno può capire questa loro gioia se non ha l’esperienza dell’attesa e dello spasimo con cui i catecumeni bramano il battesimo. I battesimandi, vestiti a festa, di bianco, sia le donne che gli uomini, erano giunti alla chiesa trascinandosi dietro parenti e quasi l’intero villaggio. Alle 20 la chiesa era zeppa. Cantoria al completo, con tanto di tamburi e nacchere africane.

Lettori preparati, chierichetti in bianco, ma scalzi. Dopo il Vangelo i battesimi di quarantadue adulti. Dopo il battesimo abbiamo regolato i matrimoni: diciassette coppie, di cui uno dei due aveva appena ricevuto il battesimo. Naturalmente tutti hanno ricevuto anche la prima Comunione. Serata stupenda, preparata anche da un bel fuoco di bivacco e da scenette.

La necessità di un catechista

Nei villaggi della brousse (savana o campagna) si sente la mancanza di un catechista. In Italia e nei paesi cattolici il catechista è colui che fa il catechismo, ma nelle missioni è qualcosa di ben più importante. Egli è l’uomo scelto e proposto dalla comunità locale, nominato dal Padre missionario come suo rappresentante e diretto collaboratore, con il compito specifico di proporre e spiegare la Parola di Dio. In questo senso lavora a servizio di una comunità cristiana ed è il punto di riferimento per i catecumeni, cioè per i “non esperti”, gli “iniziandi” alla fede e alla pratica della vita cristiana. In pratica egli esercita quattro importanti funzioni:

  1. funzione liturgica, preparando e dirigendo la pre- ghiera comunitaria e provvedendo alle veglie funebri;
  2. funzione sacramentale: amministra il battesimo nei casi urgenti e, se nella cappella si conserva il SS. Sacra- mento, può distribuire la Comunione;
  3. funzione amministrativa: tiene i registri dei catecumeni, dei cristiani, dei battesimi, dei matrimoni, dei defunti;
  4. funzione sociale: è il promotore di iniziative; culturali e ricreative. Si tratta di un servizio svolto gratuitamente. 17 settembre 1972, Bozoum: Si comincia a responsabi- lizzare i villaggi circa l’impegno di mantenere il cate- chista alla scuola. Cominciamo a fare la brousse tutte le domeniche. Stamattina P. Carlo è andato a Sambay. I cristiani si sono ricostruiti la cappella. Tutto era pulito. Molta gioia. Una trentina di comunioni, ma la capanna- cappella era zeppa. Canti e preghiere.

Io mi reco a Boyelé. Era molto tempo che nessuno ci metteva più piede. I cristiani erano fuori di sé dalla gioia. Chiesa e piazzale puliti. Offrono al Padre un pollo e tre uova. Nei giorni scorsi la stessa impressione l’abbiamo avuta a Bambolò, sulla strada di Baoro. Ma in tutti i posti si sente la mancanza del catechista. Non sono confessati, non sanno le preghiere nuove e che la Comunione si dà ora in mano.

Il primo contatto con Bossentelé

Ottobre 1973: da Bozoum vado a Bossentelé, nuova zona del mio lavoro missionario; è una semplice visita, una presa di contatto. Vi trovo un solo cristiano, poligamo per giunta.

La prima notte dormo sotto un piccolo riparo di paglia, accanto ad un asinello capitato lì per caso o per elezione; non so se sia per la gioia o per la sorpresa o per protesta, a intervalli regolari lancia, a testa alta, ragli potenti con dei teneri tremolii finali che non sono certo dei sonniferi.

Il villaggio è, come gli altri, nient’altro che un villaggio scalcagnato, solo capanne di paglia e meno di un migliaio di abitanti.

Il catechista Jean di Bossentelé

I cristiani, ancora senza catechista, aumentano con il contagocce, immigrati da altri villaggi. I protestanti locali fanno quadrato contro di noi. Nel ’77 inizia la costruzione della casa in muratura. La cappella rimane in legno e paglia: non bisogna essere più alti di m.1,80 per starvi comodi, si rischierebbe, altrimenti, di farsi grattare la testa dal “tetto”. Nello stesso anno arriva il catechista Jean: una grazia per Bossentelé. È ancora oggi al lavoro, con i suoi dodici figli, tutti in ottima forma; gli ho detto però di chiamare l’ultimo “Amen” e pare che abbia obbedito…

(Continua…)

Padre Nicolò Ellena, ocd