Un paese lontano fatto di lunghi tragitti, paesaggi da cartolina, natura dominante, terra rossa come si vedono solo nei film, un popolo differente, i suoni, gli odori, gli imprevisti… tutto ti porta a pensare di vivere un’avventura. La Missione è un cammino che, incontro dopo incontro, racconto dopo racconto, ti obbliga a riflettere. Quando ti raccontano una storia puoi usare l’udito e l’immaginazione per farti un’idea di quello che ascolti. Quando però la storia la vivi usi tutti i sensi: vedi quel che succede, senti gli odori, ascolti le voci, i rumori, senti la fisicità di un abbraccio o di una stretta di mano, sei completamente coinvolto. Prima della partenza P. Davide mi ha chiesto: “Gianluca, cosa sai fare?”. Bella domanda! Sono un commerciale, quindi la mia professionalità in Centrafrica serve a ben poco. Che cosa avrei potuto fare?

Servono figure specializzate in ogni campo. Avrei voluto essere medico, agronomo, elettricista o saper almeno guidare una ruspa per sistemare quelle che chiamano strade, ma che in realtà sono piste malmesse in mezzo alla savana. Nelle missioni sono stato un tuttofare: giardiniere, imbianchino, demolitore, impiantista. Ho messo a disposizione la mia buona volontà e le mie esperienze passate.

Qualche giorno dopo essere tornato a casa ho incontrato la mia famiglia. Abbiamo parlato della mia esperienza e mio cognato ha fatto un’osservazione. Mi ha detto: “Gianluca, non sembri entusiasta del tuo viaggio”. In realtà questo periodo di volontariato mi ha profondamente colpito, ma non è stato per me così immediato elaborare quanto ho vissuto.

Sono stato trenta giorni in Centrafrica; prima a Baoro, poi a Bozoum. Ho provato cosa vuol dire vivere senza le comodità a cui siamo abituati e questo mi ha fatto molto riflettere. Non ho fatto nulla per avere quello che ho. È una frase fatta? Può essere, ma anche no, perché mi sono reso conto che è proprio così. Ho provato cosa vuol dire lavorare con l’umidità e il caldo, con l’attrezzatura che non è quella che servirebbe, tanto che un inconveniente che in Europa può essere banale, in Centrafrica diventa un problema da risolvere. Le mie rinunce e fatiche avevano tutte una “data di scadenza” perché sarei tornato a casa a breve. Lo stesso non si può dire per chi vive lì, a partire dai padri che liberamente hanno deciso di vivere una vita di sacrifici. La fatica quotidiana la vedi, non puoi non notarla; anche i bambini lavorano.

La nostra maman Maria “sudava” in cucina per farci sentire un po’ come a casa, Lucia, una ragazza di soli diciotto anni, a fine giornata era piena di vernice dalla punta del naso alla punta dei piedi. Tutti cercavamo di dare una mano.

La maggior parte dei lavori sono manuali. Al ritorno dalla campagna tutti si portano dietro il loro peso, bambini compresi, solitamente sulla testa. Se vuoi l’acqua, devi andarla a prendere. Per raggiungere la falda devi far funzionare la pompa dell’acqua. Quella che ho usato io al lavoro ci impiega cinquanta pompate prima di attingere l’acqua. Le ho contate perché l’acqua non arrivava mai, poi riempi un secchio o un catino e a piedi torni a casa.

I bambini ti prendono il cuore. Socievoli, affettuosi, curiosi, toccano e prendono tutto, desiderosi di imparare. Ho conosciuto la storia di alcuni di loro: molti hanno numerosi fratelli e sorelle, altri sono orfani.

Gli anziani e gli invalidi ti colpiscono. Hanno i vestiti lisi e i visi scavati, ma comunque sorridenti.

Credo che vedere in prima persona le condizioni di difficoltà in cui vive la popolazione locale, non possa lasciare nessuno indifferente. Allora mi sono chiesto: “Gianluca, tu che cosa puoi fare?”. Ho coinvolto alcuni amici nel progetto delle adozioni a distanza e quattro bimbi che ho conosciuto a Baoro, andranno a scuola grazie a loro. Un collega ha rinnovato la donazione per l’asilo di Bozoum, mentre una mia conoscenza ha dato la sua disponibilità a finanziare la posa di una nuova pompa per l’acqua. Nel mio piccolo voglio continuare a rendermi utile e vorrei incoraggiare chi mi leggerà a fare lo stesso. L’esperienza della Missione è un viaggio interiore, ti emoziona, ti rende una persona migliore consapevole di quanto hai e di quanto tu sia fortunato. Ho ricevuto tanto: solidarietà, fraternità, accoglienza, socievolezza e carità. Il mio impegno è quello di ricordare e applicare nel quotidiano quanto vissuto. Credo che anche i miei compagni di viaggio siano stati toccati da questa esperienza. Le espressioni sui loro volti e le emozioni che abbiamo provato, sono ricordi che porterò sempre con me.

Sono felice di aver vissuto questa missione, quello che dai è ripagato da quello che ricevi.

Il mio desiderio è di ritornare in Africa con la convinzione di fare qualcosa di giusto.

Gianluca Grimone