Se per caso v’imbattete in un frate un carmelitano, cercate nei paraggi e troverete Gesù Bambino. Non si tratta di un’esclusiva, di una leggenda o di una sorta di algoritmo, ma di una tradizione o, se preferite, di una questione di affinità spirituale. La tradizione ha origini antiche. Santa Teresa d’Avila, madre del Carmelo riformato e instancabile fondatrice di monasteri nella Spagna del XVI secolo, si accontentava di qualsiasi luogo, di case prese in affitto e di poche suppellettili pur di installare le sue monache ovunque fossero richieste. Ma nel povero corredo, che accompagnava le sue consorelle, in arrivo sopra un carro per una nuova fondazione, non mancava mai una statua di Gesù Bambino. Teresa sapeva bene che, per inculcare la virtù dell’umiltà e l’amore per Gesù, il Dio fatto uomo come noi, questa devozione semplice e popolare calzava proprio a pennello. E, di conseguenza, tutte le sue figlie e i suoi figli, Carmelo dopo Carmelo, fondazione dopo fondazione, non hanno fatto altro che tramandare e diffondere nel mondo questa devozione, la cui origine rimonta a quei pastori e a quei magi che, per primi, s’inginocchiarono davanti al Re del mondo, Dio fatto bambino. Una di queste statue, vestita di abiti e insigne regali e custodita fin dal 1628 dai carmelitani del convento di Praga, è divenuta la più celebre e la più venerata diffondendo in tutti i continenti la devozione al Gesù Bambino di Praga.

Così è stato, in questa onda lunga che da Betlemme, passando per la Spagna e la città di Praga ha raggiunto il mondo, anche per quei quattro coraggiosi carmelitani scalzi partititi, nel lontano 1971, dal Santuario di Gesù Bambino di Arenzano, per fondare una missione nella Repubblica Centrafricana. Ma, per una felice coincidenza, il primo trono per Gesù Bambino di Praga sul suolo centrafricano non fu eretto da un frate carmelitano, ma da un cappuccino originario di Arenzano, padre Agostino Delfino (diventato in seguito Vescovo di Berberati) che, discretamente, alla fine degli anni sessanta, aveva già dedicato la piccola cappella del villaggio di Tolle, nella savana di Bozoum, alla devozione che aveva reso famosa nel mondo la sua città d’origine.

Ma, installati che furono, i nostri missionari si diedero subito da fare. Infatti, a soli pochi anni dal suo arrivo in Centrafrica, precisamente nel 1974, padre Carlo Cencio, non si accontentò di una piccola cappella, ma a Gesù Bambino dedicò una grande parrocchia, nella città di Baoro. Per lui costruì una simpatica chiesa, a forma di barca, da lui stesso sognata e progettata quando ancora era bambino. Poi è stato il turno del villaggio di Karaza, agli inizi degli anni ‘80, dove padre Marco Conte edificò un’altra cappella, sempre nella savana di Bozoum.

In seguito, nel 1983, i missionari decisero, con molto coraggio e passione, di seminare non solo il Vangelo, ma di provare a vedere se anche la pianta del Carmelo potesse mai attecchire da queste parti. E nel 1986 a Gesù Bambino è stato quindi dedicato il seminario minore di Yolé-Bouar, fondato da padre Domenico Rossi e progettato da padre Renato Aldegheri e concepito sul modello del Seminario di Gesù Bambino di Arenzano.

Nel 2007, poi, è stato aperto il convento del Carmel a Bangui, la capitale del Centrafrica, dove la chiesa non è stata ancora costruita, ma un trono per Gesù Bambino già c’è e i devoti aumentano di anno in anno. Padre Roberto Nava, nel 2008, questa volta nella savana di Baoro, ha dedicato a Gesù Bambino un’altra piccola cappella, nel villaggio di Dayanga.

Gesù Bambino non si accontenta però di chiese a lui dedicate, anche se belle, ma cerca apostoli. E qui ci si permetta di ricordarne almeno due.

Innanzitutto Padre Anastasio Roggero, il più accreditato ambasciatore di Gesù Bambino nel mondo, rettore del Santuario di Praga, nonché instancabile procuratore delle missioni carmelitane in Centrafrica. Padre Anastasio ha fatto innanzitutto ciò che santa Teresa faceva per i suoi monasteri, dotando ogni missione di una statua di Gesù Bambino. E poi ha riempito il mondo (e non è un’esagerazione) di piccole statue di Gesù Bambino di ebano e di altri legni preziosi, scolpite da artisti centrafricani. Se le valigie di padre Anastasio, ogni volta che arriva in Africa, traboccano di vestiti e caramelle per i bambini, medicine per gli ammalati e altre cose buone per i missionari, quando è il momento della partenza per l’Europa le valigie sono di nuovo gonfie, questa volta di Gesù Bambini in legno di varie fogge e colori. Se siete amici di padre Anastasio, allora avrete sicuramente una di queste piccole statue nelle vostre case. E se siete devoti di Gesù Bambino e nello stesso tempo amici di padre Anastasio, siete inevitabilmente diventati anche amici delle missioni dei frati carmelitani in Centrafrica.

In seconda posizione, ma non con minore zelo e determinazione, troviamo Padre Stefano Molon, che dal noviziato porta giustamente il cognome religioso ‘di Gesù Bambino’. Tra i fondatori del convento Carmel a Bangui, padre Stefano non ha badato a spese nell’inculcare, tra i numerosi fedeli della capitale, specialmente i più piccoli, l’amore per Gesù Bambino, amico dei bambini, dei malati e di quanti cercano la pace in un paese da anni devastato dalla guerra. Tra le iniziative inaugurate da padre Stefano, e tuttora portate avanti con uguale entusiasmo dai confratelli centrafricani, ricordiamo: la festa mensile con unzione con l’olio benedetto, la festa annuale il giorno dell’Epifania, con processione sulla collina del Carmel e benedizione della città di Bangui, la creazione di un affollatissimo gruppo di formazione cristiana per ragazzi e ragazze (dal simpatico nome di Compagnons de l’Enfant-Jésus) e, infine, la benedizione dei neonati (che il sacerdote solleva davanti all’altare tra le grida di gioia dei fedeli) ogni prima domenica del mese. Da alcuni anni padre Stefano è stato provvidenzialmente nominato parroco della parrocchia di Gesù Bambino a Baoro e, quindi, tutte queste iniziative  – grazie al contributo di un gruppo di dinamiche zelatrici – sono state incrementate o inaugurate in quella che è, per ora, la sua dimora più bella in Centrafrica.

Ci sia permesso, infine, di chiedere a Gesù Bambino tre grazie speciali per questo paese che è amato da tutti i pellegrini, devoti, amici e benefattori del suo Santuario (verso i quali tutti i missionari, che da quel Santuario partono e arrivano, hanno un grande e sincero debito di riconoscenza).

La prima grazia che chiediamo è di proteggere tutti i bambini centrafricani che, più che l’oro e i diamanti, sono la vera ricchezza del paese. Ogni giorno ne nascono circa 500. Molti di loro, però, non arrivano al primo anno di vita. Il paese, infatti, ha uno dei più alti tassi di mortalità infantile al mondo. Non pochi, inoltre, sono orfani oppure condannati a non ricevere l’affetto di una vera famiglia (con un papà e una mamma ben definiti) o educati in condizioni di grande povertà e precarietà.

Una seconda grazia che domandiamo è di sostenere il cammino di tutti quei giovani centrafricani che hanno abbracciato la vita carmelitana e che saranno – e in parte già sono – chiamati a proseguire l’opera di evangelizzazione e promozione umana iniziata dai missionari italiani.

Una terza grazia – la più urgente – non può che essere il dono della pace, a Lui che è il Principe della Pace e che, secondo la tradizione, aveva detto nel 1637: “Ridatemi le mie piccole mani e io vi darò la pace”. Il Centrafrica, che dal 2013 è attraversato da un conflitto complesso e da cui sembra quasi impossibile uscirne, ha bisogno di una pace vera, che non sia solo il frutto di accordi e interessi umani, ma della conversione dei cuori. Siamo certi che, prima o poi, saremo esauditi.

Padre Federico Trinchero