La voce è calma, lo sguardo accogliente e sereno, come sempre. Solo la barba non è più la stessa. Dopo l’incidente, a febbraio, gli è stata tagliata per esigenze sanitarie. Sono stati momenti convulsi quelli seguiti allo scoppio della mina anticarro che gli ha portato via un piede, mentre guidava, sulla strada sterrata che da Bozoum porta verso Nord. P. Norberto li racconta senza paura, ma con una lucidità e una dovizia di dettagli che ci portano subito a quel tragico momento.
Un giorno come tanti, in Repubblica Centrafricana, dove p. Norberto Pozzi, 71 anni, originario di Lecco, frate carmelitano scalzo e missionario, ha trascorso quasi 40 anni della sua vita.
Padre, si sente miracolato?
Certo, sicuramente sì. Una mano mi ha protetto. Si vede che al Signore servo ancora, magari non so ancora dove e come, ma evidentemente gli sono ancora utile.
Lei quel giorno stava andando nei villaggi di Bokpayan e Kayanga, a una cinquantina di chilometri dalla missione, per sistemare i banchi di una scuola. Una mattinata tranquilla e poi l’incidente. Che ricordo ha di quel momento?
Pochi ricordi, solo qualche flash. Mentre qualcuno mi spostava dal posto di guida, ho visto la macchina, inclinata sul ciglio della strada e mi son detto: “ma io non ho fatto nessun incidente, cosa è successo?” In effetti io non avevo sentito nulla, nemmeno il boato della mina. Non ero solo sul pick-up. Con me c’erano anche un falegname, due muratori e uno studente carmelitano francese. Lui, che era seduto di fianco a me invece ha sentito lo scoppio e in seguito ha avuto anche problemi di udito.
E poi? Cosa altro ricorda?
La voce di qualcuno che mi chiamava e mi diceva: “Ti mandiamo a Bozoum con una moto”. Io ho risposto “va bene”, credo. Eravamo a venti chilometri di distanza. Mi hanno sistemato sulla moto, uno guidava, io ero in mezzo e un altro mi teneva. Avevo una grossa perdita di sangue al piede sinistro. Era un’impresa disperata. Non ricordo molto altro di quel viaggio, solo che man mano che attraversavamo i villaggi sentivo voci che dicevano “père Norbert… père Norbert”, urlavano forte il mio nome, sperando che mi salvassi. In seguito, ho saputo che tantissima gente ha pregato per me. Migliaia e migliaia di persone. Ho ricevuto la solidarietà di tanti. Mi ha stupito ed emozionato.
Non aveva pensato che la strada potesse essere pericolosa? In Repubblica Centrafricana la guerra non è mai finita e ogni tanto si sentono notizie di scontri o imboscate.
In realtà poco prima dell’incidente, lungo la strada, abbiamo incontrato un mio operaio in moto che ci aveva avvisato della possibile presenza di alcune mine, piazzate dai ribelli là dove iniziava la montagna. Mi ha detto: “stai attento al lato destro”, e io così ho fatto. Ma la mina era posizionata subito dopo un ponte, dove non era assolutamente possibile evitarla transitando con un’auto.
Prima la moto, poi il trasferimento in elicottero nella capitale, a Bangui, poi ancora in Uganda. Un lungo pellegrinaggio per salvarle la vita. Ma non è stato possibile salvare il suo piede, che è stato amputato a Kampala. In tutto questo viaggio lei ha ripreso conoscenza? Chi aveva vicino?
Sinceramente ero sedato e ricordo davvero di aver ripreso coscienza solo un paio di volte in quelle ore. Una di queste, a Kampala, in Uganda. Svegliandomi mi è sembrato di essere in Paradiso perché mi sentivo bene, vedevo il cielo azzurro e non capivo dove mi trovassi.
Dopo il rientro in Italia, l’ospedale Rizzoli di Bologna, la convalescenza in una RSA di Varazze, poi il trasferimento nell’ospedale “La Colletta” di Arenzano per il percorso di recupero e la fisioterapia. Nel frattempo, la predisposizione di una protesi per permetterle di rimettersi in piedi e tornare a camminare. Il percorso è lungo, ma la strada ora è in discesa. Sente il desiderio di tornare in Africa?
Per me l’Africa è sempre stata casa. Io mi sono sentito subito a mio agio in quella terra, dove ho trovato ciò che mi aspettavo. I primi mesi, tanti anni fa, scrivevo a mia mamma e le dicevo che l’impressione era quasi di essere in campeggio. È stata una scelta di vita profonda. Inizialmente mi interpellavo su come potessi aiutare gli altri. Erano i tempi della siccità e della grande carestia. Poi è arrivata la vocazione. Tornerò certamente laggiù, perché ci sono cose che ho lasciato in sospeso e devo sistemare. Prima però devo essere certo che il pericolo delle mine sia diminuito.
P. Norberto, è riuscito a perdonare quei ribelli che hanno interrato quella mina sulla sua strada?
Sinceramente non mi sono mai sentito neanche di condannarli, quindi non mi sono posto il problema se perdonare o meno. Mi sono detto che quello è il loro lavoro perché sono banditi. È capitato a me, ma non ero io l’obiettivo. Quindi nessuna condanna.
Non rimpiange il piede perduto?
E cosa dovrei fare, piangere? Essere triste perché mi manca un piede? Il mio desiderio è vivere per Cristo, l’ho fatto per tutti questi anni con due piedi, e sono certo che continuerò a farlo con un piede solo anche adesso.
Cristina Carbotti, giornalista RAI