Padre Matteo racconta…

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La mia missione ha inizio  il 26 settembre 2013, giorno del mio arrivo a Bangui. Ero già a destinazione, la mia nuova casa era il Carmel di Bimbo. Le palme, la terra rossa, il caldo umido: il mio nuovo mondo. Tanti giovani frati studenti mi attendevano in convento, accompagnati da P. Mesmin e da P. Federico. Il Carmel è una tipica casa di formazione per cui, in questo senso, la mia vita continuò con gli stessi ritmi quotidiani lasciati in Italia. Per esprimermi, il francese lo masticavo già, ma ora bisognava parlarlo e intanto iniziarmi al sango, la lingua nazionale. Dovetti sbrigarmi col francese, perché mi proposero quasi subito di fare un corso di solfeggio ai giovani del Seminario propedeutico. In convento ebbi a dedicarmi soprattutto alla dispensa e alle spese; iniziai così anche a conoscere la città di Bangui, nemmeno troppo caotica per essere una capitale. L’anno seguente divenni per tre anni formatore dei più giovani tra i giovani, i pre-novizi, e potei pure insegnare latino al Seminario maggiore. Una sorpresa dietro l’altra per me che ero partito, in effetti, senza aspettative particolari. Ma la sorpresa delle sorprese arrivò il 5 dicembre di quello stesso 2013: alle palme, la terra rossa, il caldo umido e i tanti giovani frati si aggiunsero gli sfollati. Prima trecento, poi seicento, mille e, via via, fino a diecimila! Dal mattino alla sera il Carmel era diventato un campo-profughi a causa dei combattimenti violentissimi di quel periodo.

Anche il convento servì a gestire l’emergenza e gli spazi e la vita della comunità furono scombussolati per un bel pezzo, ma fu un’occasione unica per poter condividere la disgrazia della guerra insieme alla gente. Gli ultimi sfollati lasciarono il Carmel nel febbraio 2017.

Quasi tutta la mia vita là fu accompagnata dalla loro presenza e dalle loro infinite richieste. La Messa del giorno di Natale 2013, celebrata in mezzo a loro, cantando a squarciagola e udendo al tempo stesso gli spari e le bombe in lontananza, mi è rimasta impressa come l’immagine più espressiva di quel periodo. Grazie a Dio vidi anche l’arrivo di Papa Francesco nel novembre 2015, una vera festa per tutti i centrafricani! Fu un momento di distensione per la città di Bangui, persino dai quartieri musulmani la gente uscì per l’occasione, cosa rischiosissima prima di quel giorno. Certo molti problemi del Paese restano ancora da risolvere, ma quei giorni furono memorabili. Vederlo nello stadio della città avvolto dalla gioia di tutto un popolo, che aveva tanto sofferto e che soffriva ancora, fu un’emozione intensa. Il Papa disse, aprendo il Giubileo della Misericordia nella Cattedrale, che Bangui quella sera era “la Capitale spirituale del mondo”!

Il secondo “capitolo” della mia vita in Africa è a pagina 16 agosto 2017 del calendario gregoriano, quando arrivai qui a Bozoum, poco meno di 400 km a nord-ovest di Bangui. Ambiente nuovo, rurale; vita parrocchiale e scuole da gestire. Ne venivo da un convento con tanti frati ed ora siamo solo in tre: trovo p. Aurelio, parroco, e p. Norberto, incaricato della pastorale e delle scuole dei villaggi. Sostituisco p. Enrico. Per alcuni mesi faccio “apprendistato” di apostolato nella “brousse”, nei paesini disseminati lungo le piste che si diramano da Bozoum. Padre Norberto è il mio “maestro”, lo accompagno e lo aiuto, mentre imparo il mestiere domenica dopo domenica. È ancora un nuovo mondo da scoprire, un mondo semplice fatto di persone semplici. E poiché parlare in francese nei villaggi è quasi come parlare in latino, dovetti finalmente iniziare a parlare in sango. Dover spiegare il Vangelo in sango aiuta tantissimo ad andare all’essenziale del discorso, la fede dev’essere tradotta con immagini concrete, non ci si può nascondere dietro i paroloni che tutti sanno e nessuno capisce. Oltre a questo apostolato in campagna, scoprii la vita della parrocchia, ma anche il grande impegno profuso nel dirigere le scuole. Così, tra un po’ di insegnamento, un po’ di lavoro di segreteria, un po’ di poveri da servire, un po’ di servizi pastorali la vita scorre veloce a Bozoum. Purtroppo gli ultimi mesi sono segnati dalla ribellione armata, che ci ha fatto temere di rivivere l’emergenza sfollati come nel 2013.

Per quel che ho potuto sperimentare, un missionario può, sì, evangelizzare, ma viene anche evangelizzato dalla fede dei semplici e dalla forza con cui i Centrafricani sanno andare avanti nonostante tutto. Questa gente piena di vita, sempre in fermento come una grande foresta, questa popolazione sempre giovane e sempre più numerosa, mi danno una grande speranza e sono un immenso campo in cui coltivare la carità.

padre Matteo Pesce