Ho fatto un’esperienza davvero speciale in Repubblica Centrafricana: un viaggio per documentare la vita e la missione dei Padri Carmelitani.

Da fotografa, la prima cosa che mi ha affascinato è stata la luce diversa, molto calda. Sarà per la posizione vicino all’equatore o la diversa inclinazione dei raggi solari o la mancanza di grandi edifici che intralciano la visuale, ma ho visto tinte per me inedite, come la terra rossa e satura di colore. Il contrasto tra la savana bruciata dai fuochi per disboscare e il verde delle nuove piantine è acceso. L’orizzonte in lontananza lascia immaginare il mare dove invece le colline si perdono nel cielo. Forse questo dipende dal fatto che il mare ligure è sempre nel mio orizzonte e lo immagino anche dove non c’è.

Nel lungo viaggio tra la capitale Bangui e la nostra destinazione, Baoro, ho osservato come i centrafricani si spostano e trasportano le merci. Si viaggia su strade piene di buche solcate dall’acqua che nella stagione delle piogge scava canali, ai cui lati sorgono i villaggi. Convogli di grandi camion attraversano il paese trasportando legname, ma anche i prodotti che la gente prepara e vende a bordo strada: fascine di legna, carbone, pietre per le costruzioni e l’immancabile manioca. Macchine e moto stracariche di mercanzie sfidano le leggi della fisica. Tutti suonano il clacson e nessuno rallenta. Si “balla” parecchio. Scattare foto in queste condizioni è difficile, ma certe situazioni vanno colte al volo.

La Repubblica Centrafricana è un paese ricco di risorse, ma la maggior parte delle persone non ha niente. Le preoccupazioni quotidiane mirano all’essenziale: arrivare alla sera riuscendo a procurarsi qualcosa da mangiare. La terra è fertile e il sottosuolo è ricco, ma molti bambini hanno solo la maglietta che indossano e un paio di ciabatte di solito rotte, si divertono correndo dietro a vecchi pneumatici o inventano giocattoli con materiali di recupero. Portano addosso i segni della poliomielite, gli addomi gonfi per i parassiti e gli occhi di chi sa che ogni giorno è un dono. Quando interagisci con loro sorridono e salutano con un inchino. Gli piace farsi fotografare e riguardarsi nel monitor della macchina fotografica: gli specchi non sono un oggetto diffuso, per loro è un’occasione per vedere il proprio viso.

I genitori che apprezzano il valore dell’istruzione scelgono volentieri la scuola della missione. Quella pubblica “funziona” a singhiozzo perché gli insegnanti non sono pagati regolarmente dallo Stato.

Anche se in alcuni casi è difficile fare paragoni, colpisce la differenza tra la loro vita e la nostra. Vedere i bambini, anche i piccoli della Scuola dell’Infanzia, andare a scuola da soli, senza essere accompagnati da un adulto, mi ha fatto pensare che, in altre latitudini del mondo, per portare e andare a prendere un bambino si attivano almeno due nonni. Ho fotografato una bambina di cinque o sei anni giunta alla materna con la sorellina in fasce sulla schiena. Anche se l’anagrafe a Baoro ha grosse difficoltà a registrare le nascite e non si può essere sicuri dell’età di un bambino, il gesto quotidiano di questa bambina fa riflettere su di noi e le nostre ansie.

Uno dei primi giorni si è avvicinano a me un gruppetto di bambini. Erano incuriositi. Dopo i saluti, in un attimo alcuni di loro mi davano la mano e camminavamo insieme! Noi ai nostri figli insegniamo a non dare confidenza agli sconosciuti (giustamente!). Invece questi ragazzini ci tenevano per mano orgogliosi, girandosi verso i loro amici con aria divertita, quasi a vantarsi di questo contatto così insolito e straordinario.

Dal mio obiettivo, ho potuto osservare anche quanto l’entusiasmo o la timidezza emozionino i ragazzi africani. Anche qui, negli occhi delle ragazzine si legge che non vedono l’ora di diventare donne. Giovani apprendisti meccanici a Baoro sono stati entusiasti di essere i soggetti di un servizio fotografico. Facevano a gara per mettersi in posa e richiamare la mia attenzione mentre sistemavano un motore o riordinavano gli attrezzi.

Ho avuto anche l’opportunità di fotografare le donne in situazioni diverse: nei villaggi prima della Messa o mentre preparano la manioca, a lezione di cucito dalle Suore, al corteo per le celebrazioni dell’8 marzo e, addirittura, giocare a calcio. Nei loro volti ho trovato sentimenti diversi come l’orgoglio di essere fotografate con i loro figli in braccio, ma soprattutto la dignità e la forza di voler prendere in mano le loro vite per costruire un futuro migliore.

Ora che ho ricominciato la solita routine sembra strano pensare di essere stata in un posto così straordinario, aver vissuto, anche se per poco, in un mondo così diverso: un pezzo del mio cuore, della mia testa e del mio obiettivo fotografico… saranno sempre là.

Vera Baiardi, fotografa professionista